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Un tempo in famiglia era sufficiente che il padre desse un’occhiata in modo burbero ai propri figli perché quelli si mettessero sull’attenti. Oggi non funziona più così. Nei miei seminari nelle scuole con i genitori, quando affronto l’argomento “urlare” mi ripetono sempre che l’urlo è presente in famiglia dalla mattina alla sera.
La prima domanda che faccio è: “Ma perché urlate con i vostri figli?”. E loro mi danno sempre queste o analoghe motivazioni: “Mio padre urlava sempre con me, io non voglio essere una sua copia ma non riesco a non urlare”. Oppure: “Mi scatta un nervoso, qualcosa nella pancia, e l’urlo parte”. Altra motivazione: “Mio figlio non mi ascolta”. Questa è la frase che, lavorando da oltre venti anni con le famiglie, mi perseguita: “Mia figlia non mi ascolta, mi ignora e così continuo a urlare”. Ovviamente domando: “Mio caro genitore, ottieni qualcosa urlando?”, “no” è la risposta, “e allora perché continui a urlare?”, chiedo alla fine.
Alcuni genitori mi hanno confessato di urlare anche quando ci sono amici dei figli in casa. Che terribile atmosfera! C’è molta consapevolezza da parte dei genitori di non sentirsi a proprio agio mentre urlano, però è più forte di loro. Spesso l’urlo è accompagnato dalla rabbia. Capiscono che stanno facendo una cosa sbagliata, si sentono in colpa, ma non riescono a trattenersi.
Certo, una cosa è urlare saltuariamente nel corso di una discussione o per uno specifico episodio, oppure in una sgridata ad alta voce, che può essere accettabile, altra cosa, e ben diversa, è alzare la voce, al massimo volume e in tono squillante, con l’obiettivo di farsi ascoltare, di farsi rispettare o, peggio, per voler educare i propri figli, e così non va bene. Secondo me ci sono tre domande che dovresti porti prima di urlare, caro genitore.
Primo
Serve urlare? Ti rispondo subito: no! Non porta a nessun insegnamento. Non risolve nessun problema. Crea rabbia, crea ansia. Inoltre più tu urli, più urlano i tuoi figli: ci si fa del male a vicenda.
Secondo
Mi ascolta mia figlia o mio figlio quando urlo? Ti rispondo subito: no! Si chiudono in se stessi come ricci. L’urlo accompagnato dall’aggressività verbale, non paga, non porta all’ascolto.
Terzo
Con chi sono realmente arrabbiata/o? Con il lavoro, con mio marito/moglie/partner? Con la suocera o la vicina di casa? Non è che per caso stai scaricando la tua rabbia su tua figlia o tuo figlio?
Urlare è una forma di violenza verbale, mentale e relazionale. Nasce da un comportamento che non viene accettato. Nasce da un atteggiamento dei nostri ragazzi che ci disturba.
Mi ricordo un libro di Jutta Bauer del 2002, L’urlo di mamma. Il protagonista è l’urlo. L’urlo da parte di una mamma speciale: un pinguino. Un urlo talmente tanto forte che manda in mille pezzi il suo cucciolo. Tutte le parti del corpo si staccano e volano lontano. La testa vola tra le stelle e il corpo in mezzo al mare. La mamma pinguino raccoglie i pezzi, li cuce, fa un passo indietro e chiede scusa. Scusa se ho urlato così forte, dice. Questo è un libro per bambini dell’asilo nido, ma secondo me è molto significativo.
In conclusione
Ricordati ci sono tre cose estremamente dure: l’acciaio, il diamante e la capacità di conoscere se stessi. La conoscenza di noi stessi ci aiuterà a migliorare il nostro autocontrollo e a gestire impeti e volumi di voce nei confronti dei nostri figli. E nel caso tu non riesca a controllarti puoi sempre fare come la mamma pinguino.
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