Martina aveva solo 14 anni. Quando il rifiuto diventa una condanna a morte

Mi ha lasciato, l’ho uccisa”: quando il rifiuto diventa una condanna a morte
Martina aveva solo 14 anni. Aveva detto “no”. Un no deciso, definitivo.
Lui, 18 anni, non ha retto. Ha preso una pietra e l’ha colpita. Fino a ucciderla.
È questo che ci fa tremare: la giovane età Non stiamo parlando di un uomo cresciuto nella cultura patriarcale di altri tempi. Stiamo parlando di un ragazzo – quasi un bambino – che ha trasformato un rifiuto in una sentenza.
La tragedia di Martina Carbonaro è l’ennesimo campanello d’allarme che ci urla in faccia un problema enorme e trasversale: la fragilità emotiva e affettiva di molti giovani maschi, incapaci di accettare la fine di una relazione, abituati a credere che “amore” significhi possesso.
Ma da dove arriva tutto questo? E soprattutto: da dove possiamo ripartire?
Il punto cieco dell’educazione: la sfera emotiva
Troppo spesso ai ragazzi viene insegnato tutto, tranne a stare nelle emozioni.
Non sono abituati a sentirsi dire di no. Non sono allenati alla frustrazione. Non reggono l’idea che qualcun altro decida per sé. Il problema non è solo psicologico, è culturale.
Viviamo in un’epoca che spinge i giovani verso un’adultizzazione precoce: relazioni da grandi, aspettative da grandi, ma strumenti emotivi da bambini.
Quando la relazione si rompe, il dolore viene vissuto come fallimento personale. E il bisogno di controllo – che nei maschi spesso è ancora interpretato come una forma di forza – prende il sopravvento.
La conseguenza? Invece di accettare il limite, si scivola nella violenza.
Perché dire “non mi ami più” è diverso da dire “non sei mia”.
Un’educazione nuova: dai maschi, per i maschi
Quello che vediamo – e che troppo spesso ignoriamo – è che la cultura del dominio resiste.
Un modello maschile fondato su forza, controllo, competizione e invulnerabilità è ancora dominante.
E non basta dire che le cose sono cambiate. Serve un impegno concreto per cambiarle davvero.
Ecco perché nel mio nuovo libro “L’educazione dei maschi. Un mondo senza femminicidio” ho scelto di affrontare proprio questo: l’educazione dei maschi, per arrivare all’educazione dai a maschi. .
Da padri, educatori, insegnanti, amici, fratelli che scelgono di essere un esempio diverso.
Perché un maschio può – e deve – imparare a riconoscere le proprie fragilità, a gestire il rifiuto, a stare nella realtà anche quando fa male. E tutto questo si costruisce dall’infanzia: con un’educazione affettiva, sessuale ed emotiva solida e libera dagli stereotipi.
E la scuola? Deve cambiare rotta
È urgente che la scuola, insieme alla famiglia, deve avere un ruolo centrale nella formazione emotiva.
Non si può più inseguire solo il programma: bisogna creare spazi dove si impara a riconoscere le emozioni ad ascoltarsi e a parlare. Esperienze come quelle di alcune scuole in Svezia, dove ogni settimana c’è un’ora dedicata alla condivisione emotiva in classe, dimostrano che un altro modo è possibile.
Costruire un mondo diverso: sì, si può
Il cambiamento passa da una nuova visione del maschile.
Da una cultura che non confonde la forza con l’aggressività, ma la riconosce nell’empatia.
Da una società in cui:
* il rifiuto non è umiliazione ma libertà;
* le emozioni non sono debolezza ma strumenti;
* il rispetto non è una concessione, ma un punto fermo*
Queste riflessioni – e molte altre – le racconto in “L’educazione dei maschi“. un progetto che nasce da 30 anni di lavoro a fianco di genitori, bambini e insegnanti, con un obiettivo chiaro: contrastare ogni forma di prevaricazione partendo dall’educazione. Leggerlo è un atto di responsabilità, verso i nostri figli. E verso il mondo che vogliamo costruire.
Un mondo dove dire “no” non significa morire.
L’educazione dei maschi.Contro la violenza, per una nuova cultura del rispetto
Come genitori, avete percepito questo fenomeno? Sono curiosa di ascoltare il vostro punto di vista. 🧐👇
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